Una bora glaciale ci sferza il viso e spazza via ogni residuo di nuvola, mentre sul camminamento di pietra lungo gli scogli cerchiamo di passeggiare (più che altro di mantenerci in piedi), guardando il mare, agitato, turchese.
Il cielo è limpidissimo e il sole risplende sul campanile protoromanico di Caorle (molto simile al campanile tondo di Pomposa), che, lo vedo ora, pende da una parte come la torre di Pisa. Anche la chiesa dentro è molto bella e anche alcune sue colonne sono paurosamente inclinate.
Resistiamo poco e ci infiliamo con il vento nella Calle del Vento, una viuzza stretta tra le vecchie case rosse, con i fili del telefono attaccati all’intonaco esterno e camuffati genialmente con delle reti da pesca, per andare a riprendere la macchina parcheggiata davanti al Buso (chiuso il lunedì, se no magari...) e proseguire di un paio di km. fino alla foce del Livenza dove c’è il nostro ristorante, trovato grazie ad accurate ricerche su Internet.
Devo dire che il nome Pic Nic, per un ristorante, non attira molto (secondo me) ed anche l’aspetto esteriore non entusiasma per niente. Una casetta bassa e larga di colore azzurro intenso con contorni e serramenti bianchi... uno striscione di tela strappata, che sbatte al vento, dove si intravede metà della scritta Pic Nic... masserizie abbandonate qua e là all’esterno, in un ambiente attorno pieno di residence a schiera chiusi, molto popolari. Ma dove siamo finiti? Con tuti i ristoranti che ghè...
Non c’è un cane in giro e neanche dentro il ristorante. Saremo gli unici anche per tutto il pranzo.
Gli assenti avevano torto.
Ci accoglie il proprietario e poi arriva anche sua moglie, una bella tosa bionda, alta e slanciata, meno di quarant’anni. Ci fanno subito compagnia i loro due bambini, che però non disturbano affatto, anzi mi diverto a guardarli.
L’interno è parecchio più piacevole dell’esterno, colori tenui e musica simil free jazz di sottofondo, basso volume. Doppi bicchieri, posateria non di lusso, ma in quantità giusta.
Noi ci accomodiamo di fronte alla vetrata che dà sulla foce e poi sul mare.
Con un’acqua gasata Norda, ordiniamo due calici di Prosecco. La tosa arriva con un Brut della cantina Andreola di Farra di Soligo, tra Valdobbiadene e Conegliano. Ce lo stappa lì e me lo versa nel calice per l’assaggio... un po’ fiapèto dico io... non aveva una gran persistenza e poi... più verso l’extra dry che verso il brut...
“Non c’è problema” mi fa la tosa (simpatica ) “gliene faccio assaggiare un altro...” Dopo pochi secondi arriva con un Col Saliz Valdobbiadene DOCG Brut.
Tutta un’altra storia... bollicine fini e parecchio persistenti, aroma un po’ fruttato, sapore salinato, bòn, propio bòn.
E’ una cantina di Refrontolo, terra peraltro del passito DOC, che non farèmo in tempo a visitare al ritorno, ma vale.
Due cigni si rincorrono volando sul fiume (non ho ricordi d’aver visto cigni volare), con i colli lunghi e dritti e il becco girato in basso, sembrano due stukas in picchiata... Il tempo di planare e rigalleggiare nella posizione classica del cigno, che la tosa ci porta un antipasto con carpaccio di tonno crudo, marinato in sale, su un crostino caldo guarnito da insalatina “offerto dalla casa...” mi dice la sposa (sempre più simpatica ). Ottimo, veramente.
I due primi ce li dividiamo: pasta fatta in casa (tipo spaghetti alla chitarra, ma neri) al nero di seppia con vongole e mazzancolle, e poi spaghetti alla busèra con cozze, gamberi, scampi, vongole, in leggera salsa di pomodoro piccante. Bellissima presentazione, piatti super abbondanti, cottura perfetta, pesce squisito.
Viste le proporzioni, ordiniamo una sola frittura di pesce e verdura, in due. Tempistica perfetta, arriva il piatto bollente e stra-abbondante (come previsto) con gamberi, totani, moscardini, calamari, gamberetti di fiume, aolette e tranci di merluzzetti. Assieme, julienne di melanzane, zucchine e carote, sempre fritte.
Tutto eccezionale.
Mentre mia moglie è incollata al cellulare per parlare con la figlia americana, bloccata nel North Carolina con l’aereo rotto (per fortuna si sono accorti prima di partire), io do un’occhiata all’interno della cucina, pulitissima, così come i servizi, che avevo già visitato prima. In fondo al ristorante, mangiano anche loro, con i bambini e con la sorella della tosa (le assomigliava molto) che aveva un altro bambino piccolo.
Il dolce non ci stà, siamo quasi stroncati. La tosa ci porta due tovagliolini di carta al limone.
Poco dopo arriva con un piattino e dentro sei frìtole ripiene alla crema, con l’uvetta passa, appena fritte. “Maaaa...” provo ad accennare io... “Offerte dalla casa...” mi dice la tosa bionda… Come si fa a dir di no? (oh... proprio simpatica sta bionda )
Il conto è di 59 euro in due. Limoncino offerto dalla tosa bionda... :lol: :win:
Eppure continuo a ripetermelo: mai fermarsi a guardare l’esterno delle cose... l’estetica ha la sua importanza, ma in questo caso viene surclassata da altri elementi di sostanza...
Imperdibile!!!
[d.d.]
09/03/2011