Cento anni fa moriva Pellegrino Artusi, non a torto considerato uno dei padri della cucina italiana.
Forlimpopoli fu la sua città natale e qui, dal 2007, funziona un centro di cultura gastronomica dedicato alla cucina domestica italiana.
Avevo avviato, alcune recensioni fa, una modalità di presentazione che intendeva far contenti anche i lettori più frettolosi, con una schematica iniziale dei principali dati e poi, chi ne ha voglia, può continuare a leggere.
Qui non si può proprio. Stavolta occorre un’eccezione anche per coloro che non amano la minuziosità ed il contorno nelle recensioni.
Il complesso edilizio che ospita questa struttura, ristrutturato architettonicamente molto bene, con tendenza high tech, è situato all’interno dell’isolato della Chiesa dei Servi, nel centro storico di Forlimpopoli, a pochi passi dalla bella e particolare rocca albornoziana. Bella è bella... e particolare lo è... anche perchè il Cardinale Albornoz, prima della sua costruzione, fece quasi radere al suolo la cittadina ed ammazzare molti dei suoi abitanti. A volte, dietro i bei monumenti, la storia ci nasconde tragedie immani.
All’interno si trova la biblioteca P.Artusi, la scuola di cucina, lo spazio eventi, il ristorante e l’osteria-enoteca. Ristorante, con cucina di alta qualità .
Chef, leggo, Andrea Banfi, che non ho avuto il piacere di conoscere; ho conosciuto invece il e la maitre, gentilissimi e disponibilissimi, l’uno in giacca e cravatta, l’altra in completo nero, sempre a passare ogni tanto tra i tavoli per sentire, in modo peraltro mai invadente, se tout Ãa bien.
Traggo dal loro sito, perché riassume bene l’essenza del posto: “Protagoniste principali nella ristorazione di Casa Artusi sono la pasta fresca e le ricette della tradizione emiliano-romagnola, servite con grande attenzione alla stagionalità e alla qualità delle materie prime...”
In particolare, molti piatti sono realizzati sulla base delle ricette di Pellegrino Artusi, contenute nel famoso libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, più comunemente noto come “l’Artusi”, venduto in oltre 3 milioni di copie in tutto il mondo.
Per chi lo desidera, suggerisco la libera (ma opportuna, a mio avviso), lettura del libro, con tutte le sue ricette, che si può scaricare qui: http://www.casartusi.it/web/casa_artusi/scienza_in_cucina
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E’ difficile racchiudere in poche parole le sensazioni che abbiamo provato mangiando qui, è stata per noi veramente un’esperienza molto positiva.
Le due sale da pranzo, da circa una novantina di coperti in tutto, sono impostate sul bianco ed il grigio. Tutto è curato nei minimi dettagli e, anche se non emana lusso sfrenato, ci consegna un senso di raffinatezza ed eleganza. Notiamo che tovaglie e tovaglioli sono inamidati, come si usava qui da noi quaranta cinquant’anni fa. Posateria completa e comoda, non d’argento. Bagni pulitissimi, moderni.
La carta dei vini è parecchio fornita. Purtroppo non ho tenuto a mente le etichette, ma si va da quelli più popolari a quelli più costosi. Io scelgo un modesto Sangiovese Superiore DOC 2009 dell’azienda agricola Tre Re, vicino a Faenza. Un calice per me, visto che avevo già bevuto qualcosa in una cantina sotto a Bertinoro. Poi una bottiglia di acqua minerale.
Ma modesto non lo è per niente questo Sangiovese: carico, rubino scuro, potente, leggermente barricato, aromatico, a temperatura perfetta, profuma di viole e sa di frutti di bosco, assomiglia un po’ al Lacrima che a me piace molto, di cui però non ha sentori di rosa. Fa 13,5 gradi.
Nemmeno il tempo di ordinare che il cameriere, sempre molto disponibile e cordiale, ci porta, in una ciotola di ceramica bianca, una minestra ciascuno di orzo perlato con altri legumi, che io completo con un cucchiaino di parmigiano ed un filo d’olio extravergine della zona. Bella calda, è un piatto tradizionale molto gustoso, che ci prepara lo stomaco. Un’entrèe parecchio consistente, offerta dalla casa.
Con mia moglie decidiamo poi di ordinare (e quindi di dividerci) i piatti che si rifanno alle ricette originarie di Artusi.
Full immersion.
Cominciamo con bombe composte, ricetta n. 184, ottime, assieme a crostini di capperi, ricetta n. 108, squisiti.
Così ci sono stati presentati, come da ricette, in un grande piatto di ceramica bianca a forma quadrata, con gli angoli sollevati verso l’alto, come fossero stati presi con delle pinze, in un letto di insalatina, cappucci rossi e una sfoglia di carota cruda. Le bombe composte sono come delle frittelle, salate però, e impastate con la mortadella, l'uovo e il formaggio.
I crostini di capperi sono un misto di dolce salato, con l'uvetta passa ed i pinoli, oltre ovviamente ai capperi, cotti su triangoli di pan carrè, mi sembra al burro, saltati in tegame (ma non ci giurerei, potrebbero anche essere stati messi in forno)
Secondo piattone, nero stavolta, sempre grande e rettangolare, sempre con gli angoli in su: uno sformato di carciofi, secondo la ricetta n. 391 di Artusi, con due tre cucchiai di besciamella su un fianco ed il solito lettino di insalate, oltre a due guarnizioni con sfoglia di carota, fettina sottile di cetriolo e di limone. Corro il rischio di ripetermi, devo dire che anche questo piatto era sublime.
Passiamo adesso ai primi: uno in minestra ed uno asciutto. I tempi di servizio sono perfetti.
In tavola, nel cestino del pane ci sono delle piadine... poi dei pezzi di schiacciata, una specie di pane carasau, secco, fatto da loro con la pasta delle piadine, tirata e poi cotta al forno... quindi dei mini panini molto morbidi fatti in casa. Particolarmente appetitosa la schiacciata.
Ordiniamo allora ravioli all’uso di Romagna, ricetta n. 98 di Artusi. Si chiamano ravioli, ma sono in realtà dei gnocchetti lunghi, mai visti prima da me. Buonissimi e non pochi, serviti in una terrinetta bianca di ceramica di Faenza, con i bordi dorati e decorazioni floreali colorate. Il sugo era costituito da guanciale ed asparagi, con un filo di besciamella e ricotta sfranfugliata ad avvolgere il tutto.
Il secondo primo è costituito da cappelletti all'uso di Romagna, in brodo, ricetta n. 7 di Artusi, presentati in una splendida terrina in ceramica di Faenza, con coperchio, disegnata con il blu.
La terrina ne contiene due porzioni abbondanti. Sono straordinari, cotti alla perfezione anche nelle giunture. Ottimo anche il brodo, salato perfetto, né troppo unto né troppo magro.
Sulla ricetta n. 7 vale solo la pena di ricordare che è quella dove l’Artusi racconta il fatterello che poi si conclude con quello che è diventato (non so se lo era già prima) un proverbio popolare della tradizione del nord Italia... “meglio un asino vivo che un dottore morto”... che molti conosceranno già ...
Siamo veramente sazi, rinunciamo al secondo, ma non alla prova del dolce: zuppetta di frutti di bosco con raviolini all’arancio e sorbetto al limone. Questo dessert non è una ricetta originale dell’Artusi, ma si rivelerà comunque delizioso. In un grande piatto bianco vengono serviti mirtilli, ribes e more assieme a dei piccoli gnocchetti fritti fatti con pasta di galani e ripieni mi sembra di scorzette d’arancio e marmellata, con a fianco un cilindro di gelato al limone racchiuso da due fette di limone.
Rimaniamo così estasiati e soddisfatti che, in previsione della cena, decidiamo seduta stante di replicare lì, pur avendo da sorbirci 45 + 45 km. di macchina per ritornarci dal nostro hotel.
Non è nulla, abbiamo fatto anche più strada in passato per andare a mangiare in uno specifico posto.
La cena è impostata sul pesce, quindi, oltre alla bottiglia di acqua gasata, decido per un calice (che poi raddoppierò) di Trebbiano di Romagna DOC della cantina Celli di Bertinoro, anno 2009, da circa 13 gradi stimati. Bottiglia stappata lì al tavolo (come a pranzo) e prova d’assaggio prima della mia approvazione. Si passa da un profumo di mela per l’olfatto, al sapore abbastanza secco per il gusto, che pulisce la bocca bene dal pesce.
Anche la cantina Celli è parecchio gettonata da ristoranti locali, ma non farò in tempo a visitarla.
Dopo la solita entrèe offerta, minestra a base di orzo perlato con legumi (è una sottigliezza, ma nel nostro caso, poteva anche essere cambiata con qualcos’altro... unica osservazione di una certa consistenza da fare sui due pasti), io ordino un risotto con asparagi e crostacei, che non fa parte delle ricette, ma mi attirava il risotto e sugli spaghetti alle acciughe avevo qualche dubbio (conservando nella mente i nostri bigoli con la sardèla).
A quel punto la maitre, pensando di farci un favore, ci propone l’offerta gratuita di due spaghetti con le acciughe, ricetta n. 100 di Artusi, “solo un assaggino...” “va ben, grassie...”
Altro che solo un assaggino, erano due piatti enormi, deliziosi, avvolgenti, perfetti... che bontà ... Le acciughe non sono salate, come le sardèle venete, ma vengono cotte col burro fresche, assieme a qualche puntina di sugo di pomodoro, appena accennato ed alcune erbette.
Noto che il cameriere (croato) rabbocca sempre i bicchieri degli altri tavoli dotati di bottiglia. L’unica differenza con certi locali francesi riguarda il pane, che là viene propinato con una pinza quando il cameriere vede che quello sulla tavola sta per finire.
Quindi arriva il risotto, perfetto anche questo, sembra poco, in un piatto largo, ma la semisfera concava dove è disposto è molto fonda... comincio a far fatica a finirlo... e devono ancora arrivare i secondi... che ordiniamo di seguito: per la Marta il brodetto di pesce (detto anche cacciucco, dalla ricetta n. 455 di Artusi), per me involtini di rana pescatrice e gamberi in guazzetto alle olive.
Abbondantissimo il cacciucco, che la Marta non riesce a finire, e che comprendeva anche l’anguilla, oltre ad alcuni dei pesci indicati nella ricetta e a vongole e cozze. Strepitoso, anche come freschezza, si sente...
Meno abbondante il mio piatto (io riesco a finirlo, seppur soffrendo un po’) ed ugualmente strepitoso. Il guazzetto è di pomodoro. Il cameriere ci conferma che il pesce arriva lì giornalmente, anche se sottolinea, con un po’ di malcelato campanilismo, che quello che si pesca in Dalmazia e si mangia là da lui è ancora più buono.
Alla sera il dolce non ci sta proprio.
L’importo indicato per persona è la media di quanto ho pagato tra pranzo e cena. A pranzo erano 42 euro per due, a cena 49 euro.
Chi ama il prezzo che fa rumore per una cucina importante, può tranquillamente mettere un “uno” davanti ai 22,75 euro, perché un mangiare, un ambiente, un servizio e una presentazione di questo genere, qui al nord si paga attorno ai 100 euro a testa e anche di più. Sicuramente incide un po’ nel prezzo contenuto la mia moderazione nel bere vino (ma anche con una bottiglia l’importo non sale un granchè) e l’incompletezza dei singoli pasti. Ma non si può neanche rischiare di far scoppiare i nostri poveri stomachini veronesini per voler mangiare tutto...
Chi invece finora continua a ripetere che cifre di quel genere (100 euro e più, o poco meno) non fanno per lei/lui e che sopravvive ugualmente andando a mangiare più alla buona a prezzo inferiore... beh... qui ha la possibilità di provare una cucina di grande livello ad un prezzo veramente irrisorio, da non credere.
Un omaggio particolare per il signor Artusi, che tanto ha fatto per deliziare i nostri palati, mi sembrava opportuno su questo sito, oltre a segnalare l’eccellenza mostrata da questo locale.
Imperdibile!!!
[Al Fatòr]
30/04/2011
E' la prima volta che leggo una recensione scritta su di un locale col giudizio ricavato da un pasto doppio (pranzo+cena), mi sà che alla fine i cappelli dovrebbero essere 6!!!!
Sono felice per voi carol che abbiate trovato un luogo così magico.