Incerti se festeggiare un gran bel sabato per noi, particolare e storico, o se riprendere a piangerci addosso, visto che comunque le macerie da spostare sono tantissime e dovremo aspettarci ancora lacrime e sangue... decidiamo che comunque è meglio festeggiare, anche perché le maniche le abbiamo rimboccate da sempre, non dobbiamo cominciare ora, e per disperarsi c’è sempre tempo. Un messaggio anche per i figli/e, quelli/e che adesso, emotivamente (e, per fortuna, o previdenza nostra, solo emotivamente), stanno pagando di più.
Governolo è un paesino piccolo (e smorto la domenica a pranzo), posto sulla confluenza del Mincio col Po, famoso nei secoli per l’incontro storico di Papa Leone I con Attila, il flagggi-i-elllo deddìo. Quell’Attila, dopo aver collezionato una lunga serie di vittorie in battaglia in tutta l’Italia settentrionale, fu convinto a ritirarsi. Non si sa bene come, la leggenda narra dell’impressione dell’unno di fronte al crocifisso tenuto in mano dal Papa, altri raccontano (più dettagliatamente) di storie di donne.
L’Osteria delle Cinque Lire è in una viuzza stretta in mezzo a tante altre case vecchie. Da fuori stacca solo un po’ rispetto alle miserie che la circondano: è in un edificio ottocentesco ristrutturato, bianco; dentro invece il locale è bellissimo.
Non aggiungo molto alla dettagliata descrizione di un’altra recensione, solo che i muri sono lucidati ad encausto arancio, dal soffitto di legno pendono una serie di zucche lunghe e “articolate” in una stanza, e dei rami secchi, con palle di vetro e pulcini di pelouche in un’altra. Notevole comunque il pavimento in cotto antico originale, il caminone, l’armadio verdino laccato e dipinto a mano (settecento veneziano sembrerebbe). Contorni in legno di “tamìsi” (vecchi setacci per filtrare la farina) e altre suppellettili antiche, appoggiati sulle mensole.
Il lavandino del bagno manca del sapone.
Il proprietario è un giovanottone ricciolino, bene in carne e anche ben gasato (per sua stessa ammissione, come dice scherzando), che ci spiega per filo e per segno, senza fermarsi mai e senza respirare, cosa offre la ditta. In particolare, mi colpisce il fatto che ogni giorno cambiano menu. Certamente avranno organizzato un “giro” per rifare poi, dopo un tot di giorni, la stessa cosa, però la cosa mi piace e credo sia sinonimo di freschezza degli ingredienti. Tutto è fatto al momento e si sente.
Ci facciamo portare, con una bottiglia di acqua gasata, anche una bottiglia di Rubilio, Lambrusco mantovano Lebovitz, una cantina proprio di Governolo. Bel colore rosso rubino intenso, buona spuma e buon profumo, misto di fiori e frutta. Fa 11 gradi e si beve bene, anche se non mi sembra il top dei lambruschi. Servito alla giusta temperatura.
Sul tavolo un cestino con dei cornetti, simili al pane ferrarese, ottimi, e dei rettangoli di focaccia salata.
Ci facciamo portare due primi: maccheroncini fatti in casa con la salsiccia e la zucca, tagliolini con sugo di lepre e topinambur. Siamo i primi (poi il locale si riempirà quasi completamente) ed essendo i primi, i primi arrivano prima , nel giro di un quarto d’ora... il tempo di cuocere.
Eccellenti ed abbondantissimi, cottura perfetta, entrambi amalgamati con un filo di panna da cucina e altre verdurine tagliate fine, inondati sul bordo piatto di grana grattugiato (sistema originale), ce li siamo divisi e spazzolati con gusto, anche perché io alla mattina mi ero fatto la mia oretta di bici, mentre la moglie aveva saltato la colazione. Due modi diversi per stare in riga (però credo sia meglio il mio ).
Di secondo, informatomi per tempo, mi faccio portare una “svarzella”, cotoletta di maiale con l’osso, impanata, che ci divideremo in due. Effettivamente è di dimensioni ciclopiche (circa 30 x 30 cm.), ma, anche per sciogliere il dubbio se la svarzella di questo locale sia per uno, per due o per tre, avendo mangiato anche i primi, devo dire che si mangia giusta in due. Senza primo, la può mangiare una persona sola (una persona “normale” intendo ). Perché c’è tanto scarto, tanti nervi laterali e tanto osso.
La svarzella è buona, gusto delicato, anche se vicino all’osso non è cotta tanto bene, mentre l’impanatura tende ad essere scura. Si discute con la Marta e si conviene che forse è una questione di punto di fumo dell’olio, che in questo caso era forse troppo alto di temperatura, cuocendo molto all’esterno e non completamente all’interno a contatto con l’osso.
Devo dire comunque che la cotoletta della Cervetta a Modena l’ho mangiata meglio, come cottura intendo, e l’ho mangiata meglio anche al Belvedere sulle mie colline (dal nono e dala nona).
Contorno di patatine fritte, di quelle da stadio, buone e abbondanti anche quelle, ma non tagliate al momento (penso, potrei sbagliarmi, a quelle surgelate).
Un bel colpo per il nostro colesterolo, bastonato più volte nell’ultimo periodo.
Non abbiamo spazio per altro. Il conto recita 43,50 euro complessivi, ben spesi, più 120 km. in auto che abbiamo fatto volentieri.
Fuori, seppur siamo a metà novembre, c’è un bel soletto tiepido e ne approfittiamo per una passeggiatina nel parco del Mincio, a vedere la torre campanaria medievale, il canale “la conca” fatto nel 1925 dai Savoia per consentire la navigazione dal Mincio (più alto) al Po, con la chiusa crollata il giorno dopo l’inaugurazione! (poi rifatta) ed altre opere idrauliche di mitigazione.
Consigliatissimo!!
[corpicino]
13/11/2011