Uno venne incarcerato un paio d’anni dopo la maturità. Aveva sepolto delle armi nei campi, sembra si fosse unito alla frangia più estrema di Avanguardia Operaia. Mi aiutò, durante il ritiro pre-esami nella casa di campagna del nostro Istituto, a studiare Feuerbach ed Hegel… me li spiegò pazientemente… anche se, a me, in tutta sincerità, non me ne poteva fregar di meno delle elucubrazioni di quei due, ed ero più concentrato a raccogliere ciclamini da mettere sotto la statua della Madonna, sperando in quello che io allora ritenevo un miracolo-non miracolo per gli esami di maturità… forse per cercare una maggiore tranquillità interiore, data la forte tensione… specie di miracolo-non miracolo che poi avvenne, nonostante la mia personalissima avversione per la filosofia. L’ho cercato adesso, anche presso i suoi parenti, ma lui non vuol farsi trovare, non vuole che ci reincontriamo.
Non siamo pochi al punto d’incontro davanti alla trattoria in piazza a S.Rocco, una sella di case adagiata sulle colline verdi smeraldo di questa maledetta primavera, protetta a sud dal promontorio della chiesetta di S.Maria Valverde, con sotto la distesa della Valpolicella e, più lontano, della pianura.
Nella lunga tavolata, tre bottiglie di un bianco IGT Valpolicella della cantina Righetti. Avrà fatto 12 gradi, leggermente mosso, come piace a me, un buon profumo floreale, moderatamente amabile, senza grandissime velleità, ma ideale per gli antipasti. Partiamo col primo brindisi, con gli altri avventori, nella sala da pranzo a fianco, che si son girati a vedere cosa succede, attraverso il portale di collegamento tra le due sale.
“Come va?”… “Tutto bene?”… e via alle chiacchiere e agli aggiornamenti, nel locale già descritto l’altr’anno, mentre assaggiamo gli antipasti: salumi eccellenti ed abbondanti ( soppressa, speck, crudo e salama) assieme e fette di polenta abbrustolita e ad un paio di gnocchi fritti a testa, che io, da scarso intenditore, giudico buoni.
Si comincia bene, il cameriere latino-americano è molto disponibile.
Dodici i medici nella classe, due i primari: si va dal neurologo, all’ematologo, al medico di base, a quello del pronto soccorso e altri… coperta quasi ogni necessità… C’è chi lavora qui e chi lavora a Londra (assente giustificato). Non è venuto neanche quello dei nostri compagni medici che ha fatto dodici figli, avendo aderito a una non so quale setta cattolica oltranzista tradizionalista. Assente quasi giustificato, evidentemente ha ancora da badare ai figli.
Due i preti rimasti preti, uno è diventato il Superiore del nostro Istituto. Un terzo invece si è fatto prete una decina di anni dopo, assente giustificato per problemi “ovini” (più precisamente “pastorali” ), e poi: un commercialista, un informatico, due docenti universitari, un insegnante di lettere, un ricercatore universitario, un chimico, uno psicologo, un operaio, un salumiere, un barista…
Arriva il primo primo: risotto all’ amarone con bricioline di prezzemolo… mmmmm… cottura perfetta, leggermente al dente, ben amalgamato, con una spolveratina di parmigiano… molto buono…
… in due ci siamo invece iscritti ad Architettura e, dopo la laurea, l’altro mio compagno è entrato pure lui in Seminario, si è fatto prete ed è andato in Brasile a fare il missionario. Ha conosciuto una ragazza brasileira, si è spretato, si è sposato e continua a fare il missionario in Brasile, aiutando i ragazzi di strada in collaborazione con le strutture del Governo. Anche lui assente giustificato. In suo onore, siccome era anche capo scout, ho intonato la sua canzone preferita “Ci son due coc-co-drilli…”, condita dalla gestualità del corpo… uno spettacolo indegno in una trattoria (seppur in saletta riservata) per un gruppo di tardo-cinquantenni, per non dire quasi sessantenni… specialmente per il Superiore, trascinato in questo gioco al massacro, pur cercando di mantenere un certo sorridente aplomb eucaristico…
Il secondo round è di valpolicella classico S.Rustico (alla fine saranno altre sette bottiglie), nota cantina locale di Valgatara. Profumatissimo, sapore fruttato, una cosa molto gradevole a pasto, pur nella sua semplicità. Poi acqua a volontà, liscia e gasata, una menzione particolare per il pane, che stavolta ho visto più ricercato del solito, con la presenza anche di pane nero.
Lo chiamavamo “il Duce” e il motivo è facilmente comprensibile. Segaligno e molto deciso nelle sue esternazioni, un fascista vecchio stampo. Per principio, non beveva mai vino rosso. Per salutarlo gli gridavamo “A NOI !”, seguìto da: “bombe a màn, su pel cu.. a … “ e il suo cognome, che finisce in “àn”, come Padoàn o Brendolàn. Trasferitosi in Sudafrica, se n’è tornato in Europa una volta finito l’apartheid, non poteva essere diversamente. Ora è docente universitario di Economia, per un periodo in Norvegia. Assente giustificato, si è scusato di non poter essere presente.
L’altro primo sono tagliatelle paglia e fieno al petto di faraona con verdure: semplicemente strepitose. Cottura naturalmente espressa, niente di precotto, sugo delizioso, e tanti bis del bis…
Tempi di portata dei cibi, giustissimi.
Lo scopo di colui che, in odor di santità e in corso di canonizzazione, aveva fondato il nostro Istituto (nel 1833, per “giovanetti poveri”) era quello di offrire ai ragazzi di origini modeste, privi di sostegno economico, la possibilità di sviluppare al massimo le proprie capacità.
Dopo cento e passa anni, non era cambiata di molto la situazione. Quando siamo entrati noi, mancavano due anni alla “Lettera a una professoressa” di Don Milani.
Adesso arrivano terrine di insalata fresca, ovali di tagliata con aceto balsamico, rucola e grana, tenerissima, si scioglieva in bocca, cotta a puntino (medium per me)… e poi ovali con squisite patate al forno (non bruciate e non pre-tagliate), ovali con melanzane alla griglia, pomodorini pure alla griglia, olivette artigianali… tutto eccellente e abbondante…
…“Buoni, bravi e corni bassi” era la massima del fondatore, che ogni tanto ci veniva ripetuta: corni bassi nel senso che non si doveva esibire superbia se si era bravi.
Era una massima non da poco, nel suo insieme. Per me la cosa più difficile era la terza. La pensavo allora e la penso anche adesso, scrutando, con la forchetta ferma in mano, i miei compagni mangiare e conversare soddisfatti.
Perché ad essere buono non mi sembrava di dover far tanta fatica allora (adesso, da grandi, è assai più faticoso), bastava che mi comportassi normalmente. Io allora non avevo rancori per nessuno (e, anche in questo caso, adesso la cosa non è cambiata, pur mantenendo una memoria da elefante), non avevo da rifarmi su niente e su nessuno, mi veniva spontaneo dar una mano a tutti.
Ad essere bravo era invece un po’ più fatica: bisognava seguire perfettamente le regole (ed erano regole abbastanza rigide), bisognava impegnarsi a studiare e ad obbedire. Tuttavia, non farlo qualche volta, non mi metteva in una situazione tragica, perché riuscivo comunque sempre a cavarmela. Il problema semmai era la continuità, per dare sostanza alle varie cose intraprese. Una continuità che, mi accorgo, adesso è diventata fatto quasi scontato per le cose in cui credo.
Ma quella dei “corni bassi” la ritenevo una cosa quasi impossibile da attuarsi, perché non capivo come potesse dipendere da me. Si trattava piuttosto del giudizio che gli altri davano di me, che era quasi sempre direttamente proporzionale alle loro difficoltà di comprensione e alla loro invidia. E, pure qui, anche ora la faccenda non è molto diversa, tanto che non son completamente sicuro che valga la pena farlo presente. Ma tant’è: prevale anche l’abitudine a dire quello che penso, un’altra pratica trasfusami allora.
Io mi faccio portare una macedonia di fragole e banane con gelato alla vaniglia, molto buona, senza eccellere. Altri hanno preso semifreddo artigianale alla cioccolata o meringata. Non si tratta di dessert di alta cucina, ma sono buonissimi, fatti da loro, e non comperati esternamente, come mi ha confermato la padrona, e congrui rispetto alla tipologia del locale.
Nonostante i miei flebili tentativi per far loro cambiar parere, due compagni mi hanno chiesto esplicitamente di non essere invitati a queste ricorrenze. Un operatore nel campo delle scienze forestali e un filosofo. Il primo per difficoltà e disagi che risalgono proprio a quarant’anni fa: non si è più ripreso dalle prese in giro che subiva ad opera di alcuni compagni e non vuole in alcun modo rischiare di rivederli. Il secondo, lo chiamavamo Leopardi per via di un accenno di gobba e per il suo pessimismo ancestrale, aveva (credo abbia ancora) problemi di tipo psichico e “non ha piacere che ci si ritrovi”. Per certi versi, giustificati entrambi.
Alla fine caffè per tutti quelli che lo volevano, limoncino e/o nocino fatto in casa, buoni anche questi, seppure il nocino del modenese o dell’Umbria, o il limoncino della costiera amalfitana non hanno confronti.
Il conto l’avevo concordato preventivamente ed è di 27 euro a testa, ben spesi, con un servizio sempre pronto e gentile. Stavolta, col vino in bottiglia tappo sughero, è andata al massimo per questa tipologia di locale.
Ho il mio database con indirizzi e-mail e numeri di telefono aggiornati di quasi tutti. Eravamo in diciotto su trentuno a festeggiare il quarantesimo dalla conclusione positiva degli esami di maturità, da quando (la settimana dopo l’esposizione dei risultati) andammo a Lignano Sabbiadoro a suonare i campanelli alle due di notte e a gridare: “PATROCLOOOO!!!...”.
Tenuto conto degli assenti “giustificati”, non è un cattivo risultato. Direi, anzi, che è un successo degli educatori di allora (ritualmente ricordati e sbeffeggiati con simpatia, anche quelli morti… i più…), con la sensazione diffusa, nella maggioranza dei presenti, che sia utile e piacevole ritrovarsi a mangiare assieme, come facevamo in mensa quarant’anni fa… di come sia necessario cercare di superare rigidità, sperando che chi deve capire capisca, anche se poi… rimane il dubbio che sia inutile ricordarlo… di come sia indispensabile cambiare un po’ strada tutti per reincontrarsi, perché se uno continua glaciale senza neanche mezzo passo indietro, diventa impossibile farlo… di come sia utile la memoria, per individuare e valutare i percorsi, o anche solo per sorriderne… memoria condensata in una cena, una perifrasi della vita, di come si forma, di come se ne coglie percettibilmente l’impostazione, di come diversamente si sviluppa nei diversi animi umani, per il carattere e per l’impostazione familiare, pur a fronte di medesime opportunità … dedicata, con un caro saluto, a tutti coloro che continuano a scrivermi e mi hanno chiesto… di scrivere ancora qui, nonostante tutto, di incontri, di sentimenti e di vita… insieme con i ricordi, col mangiare e col bere (bene, possibilmente)…
Imperdibile!!!
[Reginalulu]
09/06/2013