LA "VERA" CUCINA DI MILANO
Per quanto possa sembrare strano, Poporoya è quanto ci sia di più simile a Milano, per tipo di locale e per gestore, alla trattoria Ermes. D'altra parte le trattorie milanesi sono poche, relativamente care e frequentate prevalentemente da giapponesi, i milanesi vanno tutti al ristorante giapponese; qualcuno direbbe “è la globalizzazione, baby”.
MINORU DETTO SHIRO
Poporoya nasce nel 1977 (questa la data ufficiale fornita da loro stessi, anche se alcune fonti stranamente dicono 1989), il nome è un'unione di “popolo” scritto in katakana e pronunciato alla giapponese e “ya”, negozio; il proprietario e sushiman Hirazawa Minoru detto Shiro ha lavorato nel primo ristorante giapponese d'Italia, il Tokyo di Roma, e si è poi messo in proprio con una serie di locali, Poporoya è il primo, a Milano. Sono una minoranza i locali gestiti da veri giapponesi, Shiro è membro fondatore e presidente dell'Associazione Italiana Ristoranti Giapponesi, nata per garantire l'autentica cucina nipponica e contraddistinguere i locali che la servono, ed è forse l'unico chef in Italia con la patente per il fugu (il pesce palla che se non viene tagliato a regola d'arte per levargli le ghiandole del veleno è mortale, per chi non lo avesse imparato dai Simpson, dal tenente Colombo… o da Pollon), ma non aspettatevi di trovare il fugusashimi da Poporoya, Shiro non può inventarsi ciò che sul mercato del pesce di Milano (che pure si dice essere il primo d'Italia) non si trova, e se ci fosse costerebbe uno sproposito.
L'AMBIENTE, IL RITO, IL CIBO, I PREZZI
Il locale è costituito da un negozio di generi alimentari giapponesi, e dalla minuscola trattoria: nella sala riparata da carta di riso in intelaiatura di bambù ci sono un tavolo da quattro o cinque coperti, tre da due e il banco che non ospita più di quattro persone; lo spazio tra i tavolini (perché tavolini davvero lillipuziani sono, senza tovaglia o tovaglietta di carta) è quasi inesistente, ai clienti viene chiesto di passarsi le ciotole, e di condividere il contenitore dei tovagliolini e della salsa di soia con quelli del tavolo accanto. Quando arriverete aspetterete in piedi che si liberi un tavolo (potete anche telefonare, ma vi risponderanno in giapponese, e comunque non si può prenotare), intanto vi verrà chiesto cosa mangiate senza che vi venga data la lista, del resto ce n'è una appesa all'ingresso, e statisticamente è probabile che veniate da Shiro da anni, magari più volte a settimana, sempre statisticamente ordinerete sushi o chirashi, più raramente sashimi o uno dei menu completi di piatti cucinati. Quando finalmente sarete fatti passare al tavolo probabilmente il vostro piatto di pesce crudo sarà già pronto (mentre potreste aspettare un po' se avete chiesto un antipasto o preso un piatto caldo), quando starete per finirlo vi verrà chiesto se prendete qualcos'altro, e non appena poserete le bacchette vi verrà fatto capire molto chiaramente che dovete lasciare immediatamente il tavolo; il tutto sarà durato meno di una mezz'ora, con una decina di minuti di attesa in piedi (di più, alle volte). Perché così tante persone si affollano in questo locale tutti i giorni? In ordine crescente di importanza: perché è cool, perché è storico e perché offre senza alcun dubbio il miglior rapporto qualità prezzo di tutti i giapponesi di Milano, di più perché il suo chirashizushi (l'incrocio tra il sashimi e il sushi, le fette di pesce crudo sono adagiate su una ciotola del riso che si usa per il sushi, cioè all'aceto di riso, mente il sashimi si accompagna col riso bianco normale) è il migliore della città , probabilmente il migliore d'Italia, e crea dipendenza. La clientela è composta da affezionati che vengono regolarmente da anni (se passate il giovedì verso l'una io sono quello con la barba di fronte alla donna con i lunghi capelli scuri e gli occhiali, se non ci sono vuol dire che occasionalmente quella settimana ci andrò sabato, magari a cena) e non c'è nemmeno troppa insopportabile, per essere a Milano: certo il tasso di fighettume è discreto, ma più basso di molti altri posti, e siccome quasi tutti dicono “ciao Shiro” entrando, non è neanche un modo di far vedere che si è clienti fissi, tanto lo sono quasi tutti. L'ultima volta che ci siamo andati, giovedì ovviamente, la mia compagna ha preso il sushi speciale… scordatevelo: potete chiederlo, la cameriera domanderà ad alta voce “c'è speciale oggi?”, ma Shiro si rifiuterà di farvelo. Se però, per una strana congiunzione astrale, dovesse esserci poca gente in attesa e misteriosamente Shiro fosse ben disposto, allora potrebbe anche farvelo, ma non contateci; d'altra parte lo speciale, che prevede più gunkan e più frutti di mare e quando c'è il toro, la ventresca di tonno, annulla subito l'economicità del posto. Nella versione normale sushi, chirashi e sashimi costano tra i 14 e i 16 euro, comprendono la zuppa di miso e una tazza di houjicha, il tè tostato, che potrete anche farvi riempire di nuovo, birra, acqua o sakè si pagano a parte, ma se bevete il tè e non prendete altro il costo del vostro piatto di pesce crudo sarà equivalente al conto finale, non c'è coperto o altro (e vorrei anche vedere!)… certo avrete ancora fame, e questo potrebbe indurvi a prendere un antipasto (sono tutti piccoli piattini sui 4-6 euro, consiglio il takosu, versione di solo polpo del sunomo), un piatto da 6 maki o dei nigiri. Il conto comincerà a salire. Oppure potrete prendere uno dei menu (sui 13 euro) che comprendono un piccolissimo piattino di pesce in salsa, un piatto caldo generalmente con riso e miso, e un frutto; quello che riempie di più è il nabeyaki udon, gli spaghettoni in brodo con verdure nel tegame di coccio, perfetti nelle giornate fredde e piovose, il tonkatsu (la cotoletta giapponese) non è male, ma a mio avviso non è il migliore di Milano (per quello andate da Osaka, ma solo a pranzo se non volete fare un mutuo), il tempura è sempre una scelta che si può prendere in considerazione. In ogni caso non chiedete mai, mai variazioni al sushi (solo se non lo gradite col wasabi già dentro potrete farlo presente al momento dell'ordine, anzi generalmente ve lo domanderanno): Shiro si metterebbe a fare battute con tono feroce e beffardo, consigliandovi di andare a mangiare una pizza, piatto che disprezza in maniera evidente, cosa che farà anche se vi sentirà fare commenti non entusiasti al suo sushi. Shiro non ha bisogno dell'umorometro come Ermes: è SEMPRE nervoso e di cattivo umore, appena nascosto sotto una sottile patina di cortesia orientale venata di ironia, ed è armato di coltelli affilatissimi. Una delle cameriere (quella sudamericana) fa a gara con lui su chi è più scorbutico, l'altra (presumibilmente del sub continente indiano) invece è mite come un agnellino; la signora Hirazawa, alla cassa, sarà raffreddata, e starnutirà mentre voi le ripeterete cosa avete mangiato, al momento di pagare (ma non sgarrate, controllerà sul cedolino, scritto in giapponese), se volete ditele pure “o-dai-ji-ni”, ma la prossima volta sarà ancora raffreddata, a meno che non sia luglio, e anche in quel caso c'è una possibilità , in ogni caso il suo cipiglio feroce è solo apparente, non ce l'ha con voi, è anche gentile, forse è stufa della propria salute cagionevole.
Non avrete molto il tempo di farlo, ma mentre mangiate potrete gettare uno sguardo alle pareti e leggere le recensioni appese di riviste degli anni ottanta, quando ancora la cucina giapponese era considerata qualcosa di inimmaginabile, e alcuni autografi di personaggi famosi dell'epoca, gente tipo i Matia Bazaar, mi pare; dietro il banco del pesce invece sono appesi i diplomi e i premi vinti da Shiro (col vero nome), ma molti sono in giapponese, quindi probabilmente voi non riuscirete a leggerli. Al momento di alzarvi è probabile che Shiro vi saluti rumorosamente dandovi del tu, se è mezzogiorno potrebbe dirvi “buon lavoro”, se siete donna sotto i cinquanta forse vi dirà “ciao, ciao signoriNAAA!”, e se gli avrete fatto i complimenti concluderà con un “grazie, NEEEE”. Shiro è in Italia da più tempo di me (prima che io nascessi, intendo), ma parla ancora come un giapponese delle barzellette; ho il sospetto che quando nessuno lo sente sia in grado di declamare Dante come Sermonti…
LA VISITA PIÃ? RECENTE
Questo in generale, per venire alla nostra ultima visita, giovedì era piuttosto presto, prima dell'una, e miracolosamente non abbiamo fatto coda: questo ha reso ardita la mia compagna che ha chiesto e ottenuto il sushi speciale (in fondo era S. Valentino…) io ci ho provato col chirashi speciale, ma quello è veramente un'utopia (io l'ho mangiato una sola volta), avendo dovuto quindi ripiegare sul normale mi è arrivato immediatamente, mentre sushi e takosu si sono fatti un po' attendere (2 minuti il sushi, 5 o poco più il takosu); nel chirashi questa volta non c'era tako (polpo) c'era il tamago (l'uovo, cotto con lo zucchero), la solita quantità di salmone (tanto), pesce bianco (branzino, suppongo, poco) e tonno (pochissimo), il gambero cotto e un paio di pezzi di pesce con la pelle, che io non sono in grado di identificare, al solito il wasabi andava a confondersi con l'avocado… il che può essere moooolto pericoloso. Ho anche mangiato il gunkan di riccio di mare dello speciale, buono, ma tra i molluschi costosi io preferisco la capasanta. Abbiamo bevuto le nostre solite due tazze di tè a testa, la zuppa di miso era particolarmente buona ma poca (la ciotola è sempre la stessa, ma il livello cambia leggermente di volta in volta), e Shiro si è arrabbiato solo una volta durante il periodo della nostra permanenza. Avendo ottenuto lo speciale e preso il takosu abbiamo rinunciato agli uramaki di rinforzo, e abbiamo speso quindi 42 euro (22 di speciale); siamo usciti, come al solito, ancora languidi: nel senso che eravamo estasiati dalle delizie mangiate, ma anche che avremmo potuto mangiare ancora altrettanto, e di più.
COME ARRIVARCI E ALTERNATIVE
Per chi arriva da Modena: appena arrivati in Stazione Centrale potrete prendere “la” 60 (si tratta di un autobus, a Milano gli autobus sono di genere femminile e i tram maschile, i filobus sono un po' transgender) cha fa capolinea lì davanti e fare 7 fermate fino a quella chiamata Eustachi Maiocchi, vi resteranno da fare una ventina di metri sullo stesso lato della strada, oppure…
Oppure, se volete stare più comodi e più tranquilli, sull'altro lato c'è il ristorante Shiro, l'ex Koma, sempre della famiglia Hirazawa: ristrutturato da poco ha tavoli più ampi ed eleganti, una lista delle vivande più lunga che prevede anche piatti grigliati, generalmente non si aspetta (pare si possa pure prenotare) e il servizio è più cortese e prevede camerieri giapponesi. Ma che volete, non c'è Shiro, da Shiro, e la mancanza della sua mano nel sushi si sente: il taglio non è lo stesso, il riso non è pressato allo stesso modo, e il chirashi poi!, è condito e presentato in modo completamente diverso… no, nessun habitué di Poporoya potrebbe accontentarsi di mangiare di fronte da Shiro, per quanto tutti lo abbiamo provato, quando ha aperto. Del resto anche da Poporoya tutto ciò che viene preso d'asporto non è preparato da Hirazawasensei, ma resta un buon ripiego quelle sere affollatissime in cui siete con amici, (se si vuole aspettare che si liberi il tavolino da cinque si rischia che nel frattempo chiuda), sempre che vi ricordiate di comprare la zuppa di miso istantanea, nel negozio.
Itadakimasu!
P.S.
Il pesce è freschissimo, non c'è bisogno di dirlo: con quello crudo non si scappa, si capisce subito se non lo è, e nessuno come un giapponese sa comprarlo, Shiro poi ha un rapporto trentennale con il mercato del pesce di Milano.
Imperdibile!!!
[gi]
16/02/2008
banzai!