Sabato 4 Luglio, primo giorno di saldi. Ci alziamo presto e ci imbarchiamo sulla GrogCar destinazione: bassa, tant par cambiêr, a cercare qualcosina da comprare. Saltiamo la città per evitare il caos e puntiamo verso i paesotti. Ci dirigiamo verso la Nonantolana e mi lascio alle spalle la Ghirlandina. Giretto per Crevalcore, trovato ed acquistato quello che cercavamo….solo che è presto. Io volevo pranzare lì, mi ricordavo dei tempi in cui facevo l'informatore farmaceutico, la mia zona era tutta la provincia bolognese confinante col modenese, dal Po alla Toscana. Ricordo che lì c'erano molti medici, e che io ero diventato amico di uno di questi e che di solito si andava a pranzo in una trattoria, “da Papi”, dove si mangiava benissimo…..ma questa è un'altra storia.
Risaliamo allora sulla GrogCar, anche perché fuori il caldo è infernale, e si riparte, per dove mi pare, ovviamente…. Decido al volo, Cento di Ferrara (1).
Arriviamo e cerchiamo un buco per parcheggiare. Tutto pieno, chissà che casino che c'è, penso. Invece non c'è in giro anima viva, o perlomeno, pochissimi temerari che sfidano le temperature africane, sui display dei pochi negozi aperti leggo 40°…….pppfffuuuuu, gnìnta.
Girovaghiamo per il paese, le gambe si fanno pesanti e la sete si fa sentire. Arriviamo nel centro del paese, Palazzo del Governatore (2), in via Guercino (3). Quattro gatti in giro, i soli due o tre “locali da taffio” che ho incontrato sono chiusi, pofferbacco.
Mentre percorro il portico del Palazzo del Governatore, butto gli occhi dentro un negozio da fioraio, c'è un signore anziano che recando un bel mazzo di fiori colorati sta venendo verso l'uscita. Lampo di genio. “Buongiorno, scusi, mi sa indicare un locale aperto dove mangiare, magari qui vicino?” Senza pensarci un attimo mi risponde: “Prenda la strada là verso la Rocca (4), quando incontra una tabaccheria sulla sinistra, lì c'è un ristorante. Saranno duecento metri…”.
Ci incamminiamo, sempre più stanchi ma fiduciosi, speriamo sia aperto, sennò faccio uno sproposito, non connetto quasi più, per via dell'afa e del caldo. Il sole batte a picco e non dà tregua.
Arriviamo quasi alla Rocca e mia moglie mi dice che anche qui non c'è nulla. Donna di poca fede. Ed ecco lì la tipica insegna da tabaccheria, seminascosta da una staccionata, quasi strisciando con la lingua e gli occhi di fuori sto per raggiungere la meta quando ….. ecco qui, una vetrina di ristorante. Alleluja, alleluja…….aaaaallllllleluuuuuuujaaaaaaaa……
La targa a banderuola sopra al locale recita Ristorante Pappataci (5), strano nome, la T è composta da un “tirabusòun d'na vólta”, cioè quelli a mano, con il ferro con la vite da infilare nei tappi e il manico di legno per stapparli tirando all'insù. Il puntino della i è il disegno del profilo di una testa con un cappello “Borsalino” calato sugli occhi.
Porta chiusa ma luci accese all'interno.
C'è gente che si muove.
Ã? APERTO.
Ci sarà l'aria condizionata?
CERTO.
Dentro.
Non leggo neppure il menù con i prezzi che è esposto all'esterno, non me ne frega niente, voglio sedermi, bere dell'acqua ghiacciata e godermi un po' di fresco…..sono allo stremo.
Bel locale arredato con mobilio in arte povera, colori tenui pastello. Una decina di tavoli, giusto una quarantina di coperti. Poster con foto da una parte e diplomi di “Canto Gregoriano” e affini dall'altra…. curioso. Scoprirò poi che sono del titolare, Andrea, ragazzone dal fisico imponente e dalla voce profonda e suadente, infatti in fondo alla sala c'è un pianoforte verticale coperto di cd e spartiti, sicuramente si esercita lì o intrattiene gli amici con suoni e canti.
A metà della sala, sulla destra entrando, mobile-dispensa in legno con ante vetrate, dietro si intravedono forme di formaggi vari e salumi……mmmmmmmm…….”cliente curioso….”. Il mobile è un frigorifero cammuffato da vetrinetta con piano d'appoggio, simpatico e furbo, Bisio direbbe “sagace”.
In fondo al locale bancone in muratura, dietro si intravede la porta della cucina. Lì di fianco anche quella della toilette, che visito immediatamente, anche per rinfrescarmi, sono una maschera di sudore. Bagno unico, con antibagno. Modernissimo e pulitissimo, con tutti i comfort e attrezzato per i disabili.
Mi lavo le mani e non c'è il solito dispenser di carta per asciugarsi, ma sul ripiano dello specchio c'è una pila di asciugamani piccoli bianchi. Una vera finezza.
Siamo seduti a metà sala. Oltre noi due altri avventori, una coppia, che dai loro discorsi deduco essere abituè.
Arriva il menù, e con questo anche una cestino di focaccia ferrarese tagliata a cubetti. SP….=senza parole….fenomenale. La focaccia si trova distesa su un tagliere su quel mobile/frigo, e viene tagliata al bisogno.
Sfoglio il menù e leggo tutto. Non ho molta fame, più che altro sete, poi mia moglie mi controlla a vista. La lista è varia ma non infinita, una decina di piatti per ogni portata, circa. Tutte molto accattivanti e interessanti. Piatti generalmente della tradizione bolognese con varianti un po' osè o fantasiose, ma intriganti. La carta dei vini è decisamente molta varia, molto ben fornita. Spazia in tutt'Italia, non dimentichiamoci che questo locale aprì i battenti nel 1934 come drogheria ed enoteca.
Nel menù c'è anche un'estemporaneo foglio giallo “Il tagliere dei formaggi”.
Facciamo la nostra scelta. Io prendo la Selezione completa dei formaggi, mia moglie tortelli di asparagi. Da bere acqua gassata e mezzo di rosso sfuso, Lambrusco Salamino di Santa Croce Metodo Classico Vigneto Saetti (6). Falcon direbbe ottima scelta…..grazie falcon.
Tempo una decina di minuti e un altro giro di cubetti di focaccina e arrivano i tortelli, li porta una bella ragazza bionda dall'accento straniero. Mia moglie dice dell'Est, ma secondo me, abituato a vedere badanti di tutte le razze, è inglese o giù di lì. La facies e l'accento sembrano decisamente anglosassoni o perlomeno nordico. Ciò non toglie che tra lei e lui siano proprio una bella coppia, e soprattutto di una gentilezza infinita.
Il piatto dei tortelli è un piattone enorme rotondo, con una porzione un po' striminzita, con un giusto giro di burro e sparso tutto attorno del timo secco. Nel complesso belli e buonini, anche se il sapore di asparago non si avvertiva. La pasta era verde, proprio perché fatta con gli asparagi, il ripieno un po' troppo consistente e pressato, coperto dall'aroma del timo. Io preferisco i tortelli con lo stricchetto, alla modenese, questi erano come i ravioli, quadroccini di pasta con ripieno troppo sodo.
Prima dell'arrivo dei tortelli, avevo osservato tutte le manovre del “capo” alle prese con la mia portata, la selezione di formaggi. Si è piazzato con un tagliere e un piatto rettangolare sul mobile/frigo, dal quale prelevava una per volta forme di formaggio. Tagliava ognivolta un paio di fettine sottili, le pesava con una bilancia di precisione e poi le disponeva sapientemente sul piatto di portata. Finito che ebbe il tutto, mi allungò il piatto rettangolare, dove al centro erano presenti due cucchiaioni di ceramica cotenenti uno una marmellata di pere e l'altro una confettura di frutti di bosco con aceto balsamico. Mi ha poi indicato da quale formaggio iniziare:
Pecorino in foglia di fico
Umbria, alta Val Nerina, prodotto con latte intero di pecora e stagionato almeno sei mesi avvolto in foglie di fico, ha una pasta dura, friabile e saporita sposata a un profumo intenso.
Morlacco
Formaggio d'alpeggio prodotto sul massiccio del Grappa con latte intero di vacca Burlina, stagionato per circa 90 giorni nel fieno, presenta una pasta consistente con piccole occhiature e un profumo intenso di erba e fieno.
Trester con vinacce di Lagrein
Formaggio d'alpeggio dell'Alto Adige prodotto con latte vaccino intero, stagionato almeno tre mesi, mostra una pasta color giallo paglierino e al palato si rivela armonioso dato il giusto equilibrio tra salinità e dolcezza.
Bitto
Formaggio d'alpeggio della Valtellina prodotto con latte intero di vacca Bruno-alpina o Rossa con aggiunta, circa un 10% sul totale, di latte caprino, viene sottoposto a stagionature variabili che possono arrivare anche a 10 anni, presenta un bellissimo colore giallo scuro con piccole occhiature e un sapore unico.
Blu di capra ai frutti di bosco
Formaggio erborinato d'alpeggio di latte caprino crudo prodotto in tutta l'area montana della Lombardia da razze autoctone, stagionato circa 90 giorni o più, ha un gusto sorprendentemente delicato dovuto ai frutti di bosco come le more, i mirtilli, i lamponi e le fragoline macerate assieme a petali di rosa che lo ricoprono completamente.
Gorgonzola naturale
Prodotto con latte vaccino crudo nella zona tra Milano e l'Adda, subisce una stagionatura variabile minima di 90 giorni, ha una pasta morbida e l'erbori natura gli conferisce il suo caratteristico sapore leggermente piccante.
Buonissimi, eccezionali, ottima scelta. Il connubio migliore è stato con la marmellata di pere. E il formaggio che mi ha entusiasmato di più, il Blu di capra.
Mia moglie ha poi ordinato anche uno sformato di verdure, che è arrivato sotto forma di un anello del diametro di 10 cm, coperto da una mousse di formaggio fuso. Buonissimo. Delicatissimo.
Poi per finire, sempre mia moglie, la zuppa inglese. A suo dire la più buona mangiata in tutta la sua vita. Una pecca: era poca!!!!!
Caffè deca per entambi, ottimo.
La “Selezione completa dei formaggi” merita da sola la gita a Cento. Locale sicuramente da riprovare per assaggiare qualcosa di diverso e magari di caldo, la trippa o il somarino o l'agnello…, ma in una stagione più fresca. Complimenti alla gestione.
Spesa totale 52 €. 4 cappelli strameritati.
Coperto 2x 2 €
Primo 9 €
Secondo 17 €
Contorno 5 €
Dolce 5 €
Caffè 2x1,50 €
Acqua 2x1 €
Vino 7 €
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(1)
Da Wikipedia:
“….Città posta al centro delle province di Ferrara, Bologna e Modena. Sullo stemma campeggia il gambero che ricorda l'origine pescosa del territorio un tempo invaso dall'acqua e ricco di gamberi. In origine unita a Pieve di Cento, da cui fu separata nel 1376 con decreto del principe cento-pievese Bernardo de Bonnevalle, vescovo di Bologna, che riconobbe a Pieve di Cento lo status di "città autonoma", il Comune di Cento fu definitivamente separato dalla sua originaria pieve da un evento naturale. La rotta del Reno, nel secolo XVI, fu talmente devastante che pose il letto del fiume a metà tra i due centri.
Nel 1502 Papa Alessandro VI cedette in dote Cento a Lucrezia Borgia, in occasione delle nozze con il duca Alfonso della casata estense; Cento tornò allo Stato Pontificio solo nel 1598. Nel 1754 Papa Benedetto XIV diede a Cento, con Bolla Papale, il rango di "Città " e durante la Repubblica Cisalpina (1797) venne scelta quale capoluogo del Dipartimento dell'Alta Padusa. Con voto plebiscitario nel 1860 veniva sancita l'annessione al Regno dei Savoia. Nel 1928 un decreto reale modificò il confine con Pieve di Cento, con il passaggio di quest'ultima alla provincia di Bologna.
La struttura urbana risale al medioevo ed è caratterizzata dalla presenza di portici che fiancheggiano le strade principali con palazzi storici e chiese di pregio artistico, come il Palazzo del Governatore, la Casa Pannini e la Chiesa del Rosario. Altri monumenti storici sono: l'antica Rocca, sede d'iniziative estive, e il Teatro Comunale "Giuseppe Borgatti".
Per gli appassionati d'arte, la città offre due musei di rilievo: la Pinacoteca Civica, con numerose opere di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino, genio del Barocco, che a Cento ha vissuto gran parte della sua vita, e la Galleria d'Arte Moderna "Aroldo Bonzagni", pittore centese che ha caratterizzato l'arte italiana del '900….”
(2)
Dal sito del Comune di Cento (FE)
Fu eretto nel 1502, in occasione del matrimonio fra Alfonso I d'Este e Lucrezia Borgia e della conseguente annessione di Cento al ducato ferrarese. Sorse con lo scopo di offrire una degna residenza ai commissari ferraresi deputati al governo della città . L'attuale aspetto neo-medioevale del palazzo risale al radicale restauro del 1919, mentre la Torre dell'Orologio, venne eretta dall'architetto F. Giraldini attorno al 1550. L'interno del palazzo ospita la Galleria d'Arte Moderna "A. Bonzagni".
(3)
Da Wikipedia
Giovanni Francesco Barbieri nacque a Cento, paese allora appartenente al Ducato di Ferrara, da Andrea Barbieri ed Elena Ghisellini, una famiglia di modesta condizione che abitava a pigione «in una piccola casa fuori di Cento, non lontana che pochi passi dalla Porta detta della Chiusa». Si disse a lungo che fosse nato il 2 febbraio 1590, finché il pittore e letterato Jacopo Alessandro Calvi non scoprì, nella Collegiata di San Biagio, a Cento, l'atto di battesimo redatto l'8 febbraio 1591: «Zan. Franc. Fig. de Andrea Barbiero, et Lena Ghisellina fu battez. a dì detto 8. Comp. M. Alex. Redolfini, et la Com. Alda Dottoni». � allora probabile che la sua data di nascita fosse proprio il 2 febbraio, essendo stato una banale svista l'indicazione dell'anno.
Il soprannome di Guercino dovette essergli aggiunto molto presto, se è vero quel che narra lo stesso biografo, raccogliendo la tradizione, che «essendo ancora in fasce, occorse che un giorno, mentre egli dormiva [ ... ] ci fu chi vicino a lui proruppe d'improvviso in grido così smoderato e strano che il fanciullo, svegliatosi pieno di spavento, diedesi a stralunar gli occhi [ ... ] per siffatta guisa, che la pupilla dell'occhio destro gli rimase travolta e ferma per sempre nella parte angolare» Naturalmente, il suo strabismo non fu certamente provocato da questo presunto episodio: piuttosto, il suo difetto può avere influenzato la sua resa pittorica delle forme nello spazio.....
Se volete altre notizie più dettagliate le potete trovare qui:
http://it.wikipedia.org/wiki/Guercino
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(4)
Dal sito del Comune di Cento (FE)
Sorse alla fine del �300, per volontà del vescovo di Bologna, quale freno alle ambizioni autonomistiche dei Centesi. Fu ricostruita e ristrutturata nei secoli per rispondere ai moderni canoni dell'architettura militare e per reggere i ripetuti assalti di truppe nemiche. L'aspetto attuale, privo però del fossato e dei ponti levatoi, è frutto dell'impronta che volle dargli nel 1483 Giuliano della Rovere, futuro Papa Giulio II. Nei secoli successivi la Rocca ricoprì una funzione di prigione. Oggi gli interni, completamente restaurati, presentano stanze degne di interesse, come la cappella, la sala della trifora, le cannoniere, le prigioni, che ci narrano storie di amori tragici, banditi sanguinari, apparizioni miracolose o fughe rocambolesche. L'evento più noto accaduto all'interno del castello riguarda un'immagine della Madonna, che, in seguito ad un atto sacrilego, iniziò a perdere sangue. Oggi essa può essere ammirata nel vicino Santuario della Beata Vergine della Rocca.
(5)
Dal loro sito http://www.pappataci.com/
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Nel 1934, Cesare Lanzoni, assieme alla moglie Assunta, decisero di aprire una drogheria ed enoteca nella via principale di Cento. Cesare iniziò la sua attività producendo personalmente i salumi tipici del nostro territorio, vendendo anche prodotti di prima necessità , quali sale, farina, latte, ecc… L'alta qualità e la cortesia sono stati i segni distintivi del negozio che già allora proponeva al pubblico una cospicua scelta di vini non solo dall'Italia, ma dal tutto il Mondo; una tale varietà era assolutamente rara in un periodo come quello degli anni 30', soprattutto in una Cento dove la cultura contadina, ancora ben radicata, portava a conoscere solo i vini prodotti in zona. A dare continuità al negozio è subentrata la figlia Anna, che dagli anni 80' ha affiancato all'alta qualità , un tocco di originalità e fantasia, specializzandosi anche in un altro settore alimentare veramente apprezzato da tutti: il cioccolato. Fino all'anno 2005, infatti, oltre al vasto assortimento di vini e gastronomia, ed alla grande fantasia nel proporre i prodotti, un elevato numero di aziende artigianali di cioccolato di alta qualità hanno trovato degna dimora negli scaffali dell'Enoteca Lanzoni, attirando la golosità del pubblico di tutte le età . I collaboratori di Anna, i suoi due figli Alberto e Andrea, hanno dato una ulteriore nuova impronta al negozio, offrendo ai clienti la possibilità di degustare tutti i prodotti stando seduti nell'enoteca, accompagnandoli con calici di vino di alta qualità . Nel Novembre 2006, Alberto e Andrea, sulla scia della passione per la gastronomia, il vino e la buona cucina, arrivano a cambiare completamente il volto dell'attività , trasformandola in Ristorante. L'indirizzo e l'impronta generale è quella di un locale tradizionale, di un ristorante che propone piatti del territorio con il massimo rispetto delle tradizioni e l' alta scrupolosità che ha sempre distinto e caratterizzato il lavoro della Famiglia.
(6)
Dal sito http://www.everywine.biz/
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Un Lambrusco Salamino di Santa Croce che fermenta rigorosamente in bottiglia. La sua particolarità è una incredibile morbidezza per questa tipologia di vini ed un profumo molto particolare, molto complesso, anche per l'utilizzo degli stessi lieviti fermentativi che si utilizzano nella produzione dei vini con metodo champenoise.
Di colore rosso rubino con il perlage fine e persistente risalta al naso per sentori di viola e frutti rossi. Al gusto si presenta secco, di grande spessore, morbido con sentori che riportano alla vera tradizione del lambrusco.
Uvaggio
Salamino Santa Croce in purezza
Vinificazione e affinamento
La fermentazione avviene in serbatoi di acciaio a temperatura controllata di circa 21° con macerazioni della durata di 3 giorni. Il completamento della fermentazione alcolica avviene senza la presenza delle vinacce al fine di ottenere un prodotto più fine. Nella successiva primavera avviene la fermentazione rigorosamente in bottiglia in ambienti a temperatura controllata. Dopo un affinamento sulle fecce fini in bottiglia per almeno 6 mesi il vino viene sboccato e immesso al conusmo.
Provenienza
Italia - Emilia Romagna
Consigliatissimo!!
[mizoguccini]
08/07/2009
Visto la passione musicale del titolare suppongo che il nome del locale venga da L'italiana in Algeri di Rossini.
"Di veder e non veder/ di sentire e non sentir/ per mangiare e per goder/ di lasciare fare e dir/ io qui giuro e poi scongiuro/ Pappataci Mustafà"