Non so da che parte cominciare. Se dalla Clotilde che cresce, se dal Chievo da festeggiare, o se da una mia atavica voglia di cotoletta con le patatine, che con il falchèto non riesco quasi mai a concretizzare (l'ultima mi sembra sia stata alla Cervetta in febbraio, dove mi piacerebbe sempre tornare) per via del suo “polistirolo” alto.
Fattostà che prima di cena viene a trovarmi mia nipote-sorellina-figlia Enrica, con marito e bisnipote Clotilde. Io ho finito di montare letto e di aiutare la Eli a traslocare, sono libero, e le tre ipotesi di cui sopra si incrociano con il loro desiderio di andare a mangiare fuori nel posto che già mi avevano accennato qualche settimana prima.
Il Belvedere non ha scritte all'esterno (se non un micro cartellino metallico da 35 cm. x 20 cm. in fianco alla porta) e non ha cartelli di segnalazione sulla strada. E' un casone bianco-sporco che sorge improvviso nel bosco, costruito approssimativamente alla fine degli anni cinquanta, finestrone enormi col contorno sottilissimo in marmo bianco e tapparellone di legno tutto scrostato e corroso dal tempo. Le due falde a capanna sfalsate di un metro circa, come si usava allora.
“Vabbvividisco”.
Porta d'ingresso rigorosamente in vetro e alluminio anodizzato oro, sempre in “stile” dell'epoca.
Fuori c'è una splendida terrazza con vista sul Lago di Garda: da Peschiera a Desenzano e Salò, passando da Sirmione, sorvolando Lazise e Garda. Siamo sulle colline della Valpolicella, sopra Negrar.
Nonostante la bellezza del sito, la pavimentazione esterna è in abbandono, piena di erbacce. Scope per terra e giocattoli di bambini sparsi in giro, nessuno seduto fuori sulle sedie di plastica bianca. Fa anche freschino, siamo a cinquecento metri di quota.
All'interno ci accoglie un bancone da osteria, con seduto vicino un uomo silenzioso che guarda verso terra, occhi lucidi, naso viola, chiaramente sbattuto dall'alcol.
A fianco, separata da una porta, c'è la sala da pranzo, enorme, rettangolare.
Portate pazienza, ma anche questa è d'epoca e devo descriverla, perché a me sembra di essere entrato in un film tipo “Ritorno al futuro”, saltato indietro di cinquant'anni.
Luce al neon par risparmià r, non luce-sole ma luce-rosetta, come quele de na �olta, con tre pliques quadrate a soffitto che producono nel complesso un chiarore d'oltretomba. Niente tende, si vedono le tapparellone di legno scrostato anche dall'interno. Tavoli tutti in formica finto legno, con gambe metalliche dipinte di nero, oblique, e bordino di plastica nero sul ripiano del tavolo, qua e là corroso e scavato, come in alcuni vecchi banchi di scuola. Sedie in ugual formica, ma gambe cromate (sempre oblique ).
Alle pareti non quadri d'autore, ma una vecchia carta intestata con scritto “Bar ristorante Belvedere, vini pregiati della Valpolicella” e un quadretto di Gesù Cristo benedicente col Sacro Cuore in mano che sembra dire: “Non vi preoccupate, adesso guardo io in giù...”
Su di un tavolo e su una carrozzina blu, due scatoloni di cartone piatti con dentro tagliatelle fatte in casa, coperte parzialmente da un panno da cucina bianco. Il pavimento: ovviamente un granigliato bianco e nero, come avevo nella mia casa popolare fatta nel '58.
Solo due “veciòti” in fondo alla sala, stanno mangiando sottovoce e bevendosi di gusto un litrozzo di rosso, dentro il tipico contenitore in vetro da osteria con il collo che si allarga verso l'alto.
La trattoria è a gestione familiare. Ci ricevono sorridenti, dotati di lungo grembiule bianco: el nòno, la nòna, la spòsa, el gènero, unico senza grembiule. Manca la presenza de “la sorèla”, che si rivelerà poi essere quella che lavora nell'ombra, prepara le tagliatelle e non solo.
Compiti (intuiti) del nòno: ogni tanto passare dall'osteria a vedere come sta l'alcolista anonimo, pelare patate (deve averlo imparato facendo il militare ), tener su il fuoco e seguire la carne alla griglia, pensare al vino (concentrandosi ).
Compiti dela nòna: tenere in braccio il nipote Amos di nove mesi, pestare col batticarne la cotoletta, far el ragù (perché si sa, el ragù dela nona l'è sempre el più bon ).
Compiti della spòsa: intrattenere gli ospiti, mettere su le tagliatelle, impanare e friggere la cotoletta, friggere le patate, tenere in braccio Amos quando la nona la bate la carne, ovviare a tutti gli inconvenienti che di solito era la nona che ovviava, ma adesso lei quasi sempre sorride felice con Amos in braccio.
Compiti del gènero: ogni tanto giochicchiare a calcio con Aronne (l'altro figlio di quattro cinque anni) in sala da pranzo (ma nessun disturbo), cercare di intrattenere gli ospiti.
“Che bela butìna... - ci dice il genero Â? come se cià mela?”
“Clotilde”
“Co... co... tide?... Mai sentìo…”
“Clotilde”
“Strano, mai sentìo Â?n nome così...”
Suo figlio si chiama Amos e l'altro Aronne... Mi veniva da chiedergli qualcosa, ma era troppo forte, troppo forte e pacioccone, e non avrei mai voluto metterlo in difficoltà .
Bagni nuovissimi e pulitissimi, rimessi a posto in questo nuovo millennio, con un mio respiro di sollievo.
“Che vino c'è?”
“El mio” ci dice el nòno. E poi Custoza e Valpolicella in bottiglia della cantina Montresor.
“Ma, le fà lo lù el vin?”
“Se capisse...”
Come facciamo a non ordinare un mezzo litrozzo di Valpolicella locale fatto dal nòno? Così “esso” arriva, assieme a due litri di minerale gasata.
Tòrbolo, asprigno, quasi acidino, grado scarsetto anche da pasto, il primo sorso mi è rimasto inchiodato a mezza gola.
Imbevibile.
Che dire? Si potrebbe definire, secondo un costume che ultimamente sta andando per la maggiore, consolidato da espressioni di personaggi di una certa statura politica, un vino “di sinistra”, che già , povero vino, parte male del suo, perché è rosso.
Troviamo il coraggio (perché non era facile, sono troppo simpatici ) di far presente che il vino non è di nostro gradimento... meglio farci portare una bottiglia di Valpolicella, che loro chiamano Superiore, ma in realtà era un normalissimo Classico del 2009, cantine Montresor, non tra le migliori della zona, a mio avviso. Ma non è male, anche se, per un 2009, il colore è un po' troppo verso il granata e il gusto tende al barricato. “Superiore” al suo, evidentemente, e ci voleva poco.
Ci pensa la spòsa a cambiarci il vino, con un sorriso.
Le tagliatelle al ragù (di primo ci son solo quelle, anche ai piselli o al pomodoro) arrivano dopo venticinque minuti, il tempo di prenderle dai cartoni sopra la carrozzina, metter su l'acqua, scaldà r el ragù, ciacolà r, gratà r el formà jo, ciacolà r, zugà r coi butìni, butà r la pasta.
Eccezionali, strepitose, squisite, Gesù Cristo l'à vardà in qua , erano secoli che non mangiavo tagliatelle al ragù così, veramente. Io ho mangiato un piatto diviso con l'Enrica, mentre Simone, suo marito (grossa stazza), ne ha mangiato uno da solo, super abbondante.
La nòna ha finito di battere la cotoletta… bum, bum, bum. Adesso riprende in braccio, felice, Amos, entra in sala da pranzo e calcia piano verso di me la palla, che io stoppo di tacco. Bel passaggio, discreto anche lo stop veramente.
Arrivano degli altri ospiti, chiaramente loro conoscenti. Si mettono a chiacchierare col gènero e, ogni tanto, arriva fuori dalla cucina (che si vede, perché ha la porta spalancata verso la sala da pranzo) anca el nòno, attratto dale cià cole.
Ahi… che qui si fa dura con i tempi…
“Quando ghè stà i Europei là , ne l'otantadù ( ) mi son stà a Santiago de Compostèla... par veder la Nassionà le… ah, l'è belo, l'è belo el Portogalo...!” ( )
Ci sono due modi per far fronte a questa situazione: o ingrugnirsi, incazzarsi, innervosirsi per la poca organizzazione e per lo squallore dell'ambiente, o partecipare, divertirsi, non avere fretta, apprezzare la genuinità , attribuire importanza ad alcuni dei valori familiari emersi, condividere.
Scegliamo decisamente la seconda e facciamo bene, secondo me.
La cotoletta frigge, pssssccccc...pssssccccccc... e dopo un po' arriva. Enorme (andava fuori dal piatto), di vitello (ho chiesto), senz'osso, fantastica, tenerissima, gustosissima, bollentissima. Eccelsa, come alla Cervetta. L'Enrica ha mangiato una braciola di maiale cotta sul camino dal nòno, ottima anche quella, a suo dire.
“Volìo dele verdure?”
“Sì, ... ehm... avevamo ordinato le patatine fritte...”
E' così che, mentre stiamo incominciando a mangiare la cotoletta, el nòno comincia a pelar le patate... e intanto la spòsa, per ovviare, ci propone degli zucchini in tegame (già pronti).
Buoni, asciugati non benissimo, ma saporiti, con lontano, misurato, sapore d'aglio.
Psssscccccc... pssssccccc... friggono le patatine... per fortuna la Clotilde è buona... dopo un quarto d'ora, a cotoletta quasi finita (avevamo rallentato appositamente, ma era anche gigantesca) arriva un piatto stracolmo di patatine fritte, roventi. Semplicemente meravigliose, fragranti e morbide nello stesso tempo.
Cosa c'è di dessert? Ciliegie sotto spirito, marasche sotto spirito e ciliegie cotte. Fanno loro (la nòna o la sorèla) la sbrisolona, però non ce n'è più. La Clotilde si è addormentata e se la nòna la se mete a far la sbrisolòna, andiamo a casa alle due di notte...
Siamo veramente strapieni, ma le ciliegie cotte le vogliamo provare.
Con le ciliegie, mi butto avanti e ordino anche il conto, si sa mai...
Una coppetta grossa in tre, le ciliegie sono tante, cotte nel vino e nello zucchero caramellato, assieme ad una giusta dose di cannella intera. Veniamo qui a sapere che è la sorèla che fa anche le ciliegie e poi le mette via nei vasoni, in cantina. Buonissime. Non ho ricordi d'aver mangiato ciliegie cotte e ciliegie cotte così.
Il conto? “Nòno! El contoooo...” La nòna sorride con Amos in braccio, el gènero si è messo a chiacchierare con l'altra tavolata. Dov'èlo el nòno? Arriva la spòsa dopo un po' col conto. 20 euro ho speso.
Arriva anche el gènero che si stacca dall'altra tavolata e ci offre un limoncino. Possiamo mai rifiutare? Fresco, ottimo.
Ripiombato indietro nel tempo, prendo la cosa con una rapita malinconia per il passato e, rispetto a quanto mi sono divertito e a quello che ho mangiato, il giudizio sintetico, dato che non c'è la mezza misura, è quasi basso.
Se uno/a non è teso/a, condivide le mie sensazioni e vuole mangiare gran bene cose semplici, vada lì tranquillo a sedersi a tavola. Magari alla seconda volta, quando ha preso un po' di confidenza, si porti via una bella bottiglia da casa ( ) e ne faccia assaggiare un goccio al nòno. Al resto pensano loro e forse quello là sul quadretto, col cuore in mano.
Consigliato!
[joy]
14/09/2010