Rami protesi verso il mondo, e anche l'universo se si potesse, ma, lo scopro, anzi, ci penso solo lì, mentre mangio... mezze radici le ho piantate lungo il Po.
La mia nonna Maria veniva da qualche chilometro vicino, dalla zona di Ostiglia.
Lei era buonissima. Anche a far da mangiare. Io, da piccolo, andavo alla domenica spesso a pranzo dai nonni e di primo c'era sempre il sorbìr, agnolini in brodo, che mio nonno allungava sempre col vino rosso... “anch'io, anch'io...!”, allora me ne metteva dentro un cucchiaino, anche se avevo tre anni...
“Si sta alzando di 22 centimetri l'ora...” Sento un avventore - forse un tecnico dai discorsi - che lo dice al telefonino. Siamo sull'argine di Bocca di Ganda, un promontorio lungo e stretto, sopraelevato di cinque sei metri rispetto ai campi circostanti, che procede a zig-zag, inerbato di verde sui lati obliqui, sotto un cielo plumbeo e la pioggia battente.
Le pareti interne del locale, che dall'esterno appare come una casa cantoniera, sono a striscioni verticali rosa, lavanda e lilla... da brividi... Lampadari a gocce di vetro, anch'esse tra il rosa e il viola, e armadio d'ingresso modernissimo, laccato in rosso vermiglio lucido... Telaio della porta d'ingresso rosa carne, come un gesso lungo lungo che stride sulla lavagna, rispetto al rosso mattone del muro fuori della casa... Ma la zia, la cameriera che ci accoglie, è molto gentile e ci fa sedere dove vogliamo, un tavolino d'angolo sotto un orologino da muro, contornato d'acciaio e per niente appariscente, solo un metro circa di diametro
Il mio nonno Stefano invece veniva proprio da lì, dai campi sotto S.Biagio. Faceva il casellante ferroviario e lo spostavano ogni due tre anni... Ostiglia... Mantova... Villafranca... Verona... Bassano... In ogni posto, un po' più grande del precedente, sempre lungo i binari, un figlio, per festeggiare.
Me lo ricordo, sempre con corpetto, giacca e pantaloni, neri a sottili righine grigie (e chissà perché mi è restato in mente sto particolare), l'orologio con la catena da una parte all'altra del corpetto, sempre con un cappello nero a larghe tese in testa, anche quando mangiava. Mia mamma mi diceva che i suoi amici lo chiamavano "poià na", per via del cappello.
Ordino da bere, distrattamente, una mezza gasata e mezzo litro di Lambrusco Mantovano DOC, della Cantina Sociale di Gonzaga... Distrattamente, perché sono abbandonato ai pensieri e mi sorridono i ricordi, che racconto ogni tanto alla Marta, sgranocchiando degli ottimi cornetti di pane tipo ferrarese, croccanti, con la mollica sottile.
Intervallo tecnico per assaggiare il Lambrusco, che Giacomo, il giovane nipote (della zia) un po' tarussòto�ciciòto, cortesemente ci scaraffa dalla bottiglia, dopo la mia richiesta, dato che 75 cc. non ce la facciamo mai a finirli in due (ovvero, lei lo assaggia appena). Il vino è bello frizzante, secco, da 10,5 o 11 gradi stimati, di un bel rosso scuro vivace, profumo intenso e fruttato, sapore pieno, buono, veramente, anche se io non me ne intendo molto di lambruschi.
Quando faceva freddo e usciva, mio nonno lo ricordo sempre con il tabarro... Quando andavo a trovarlo, correvo attorno alla grande tavola della sua cucina, che aveva un piano di marmo grigio chiaro, striato di scuro. Fin da allora la mia testa doveva essere alquanto ipertrofica, ma, più che altro, arrivava giusto giusto allo spigolo del marmo della tavola. Una volta lo presi secco e il marmo si crepò. Mi disse: "Testùn, at'me sbreghi la tà ola!".
I primi sono tanti, c'è l'imbarazzo della scelta, e ci pensa il falchèto a sbrigare la faccenda ordinazione, perché io sono sull'incantato (o, forse, sarebbe meglio dire rimbambito).
Sorbìr di agnolini in brodo per me e ravioli di zucca per lei, conditi in burro e salvia. Tutto spolverato da un ottimo parmigiano appena grattugiato.
Notevoli i ravioli di zucca, che assaggio anch'io, fatti in casa, con giunture per nulla indurite dallo spessore... un leggero sottofondo al limone, appena accennato, che non copre la zucca e l'amaretto... “Ma chi li ha fatti? La nonna?...” Lei è là , piccolina, che mi butta uno sguardo, sorridendo (forse mi ha sentito), dalla cucina, da dove, ogni tanto, spunta fuori con qualche piatto in mano... “E chi se no?” mi fa la zia sempre sorridendo... Gestione familiare, come piace a me (e non solo, credo), con il marito della zia ai fornelli, e Giacomo che alla fine si mette, dietro i suoi occhialini ragionieristici, al computer e fa i conti.
Supereccezionali gli agnolini, cottura perfetta, brodino di gallina eccellente (hanno le loro galline, mi han detto, e anche i conigli) e, quando arrivo a tre quarti del piatto, è più forte di me... prendo il bicchiere e ci verso dentro un goccio di lambrusco... che gusto singolare... vino, brodo e parmigiano a grumetti fusi, erano cinquant'anni fa...
... Mio nonno Stefano lo vidi l'ultima volta disteso sul suo letto, prima di essere messo nella bara. Aveva fatto un colpo. Non mi fece impressione, sembrava che dormisse. Io avevo quasi quattro anni. Mi fece impressione invece il primo impatto con il cimitero e la bara che andava sottoterra. Speriamo che non si svegli, pensavo.
Dopo che lui morì, continuai ad andare a S.Biagio nella corte di campagna dove ha continuato ad abitare lo zio Giuseppe, che in realtà era un cugino di mia mamma. Anche lui, corpetto scuro, cappello grigio in testa a capotavola, tovagliolo bianco al collo e sorbìr col vino dentro.
Ordiniamo un altro primo, che ci dividiamo. Troppo buoni i precedenti. Questi sono dei tortelli, che hanno la forma di fagottino, ripieni di formaggio e di pere. Sempre conditi col burro fuso, il parmigiano e poi cosparsi di semini di papavero. Semplicemente strepitosi, anche questi cotti alla perfezione, pasta delicatissima e mai indurita nelle giunture... Porzioni giuste, tendenti all'abbondante.
... Loro erano in undici fratelli... e i loro nomi cominciavano tutti con la G: Giuseppe, Gino, Gemma, Giordano, Gilda, Giulio, Gianni, Gianna (blocco della fantasia )...
In bici, in dieci minuti ero sul Po con i figli dei cugini dei cugini... andavamo a raccogliere funghi chiodini sulle ssòche delle pioppe... e poi a pescare aolette lungo i fossi...
Ci facciamo portare due fette di cotechino e un piattone di formaggi con le mostarde. A parte un porzione di verdure: carciofi in umido, lessati e saltati al burro, spinaci e patate, entrambi lessati.
Guardo fuori e piove ancora... una tristezza le verdure... scondite... carciofi con un gusto per nulla invitante... patate farinose... credo di capire perché nella bassa molti preferiscano la carne... ne ho trovati pochi capaci di cucinare bene le verdure...
Il cotechino abbastanza buono, ma ho mangiato di meglio, era un po' troppo molle per me.
Un parmigiano non stagionato, un provolone, un emmenthal, un fontina, buoni, niente di chè. Tre mostarde: una ai fichi, una alla zucca e una alle mele cotogne. Discrete anche queste, però, a giudizio mio e di mia moglie, mancavano di senape. Quella alla zucca era la più buona, i pezzetti di mele cotogne erano parecchio duri. Assomigliavano di più ad una marmellata le mostarde, erano poco piccanti. Abbiamo rinunciato al dolce, avendoci già fatto la bocca.
Servizio perfetto e garbato, in un'ora e dieci avevamo finito. Conto da 32 euro... parecchio a buon mercato, quasi imbarazzante. Eccezionale e consigliabile per mangiare i primi, confermo in questo le precedenti due recensioni.
Ho preso al volo il suggerimento di Mauribe per provare questo locale e son riuscito a convincere (causa meteopatìa) il falchèto a muoversi, visto che, per sua salute e per il brutto tempo, è saltata la nostra due giorni e qualcuno, da qualche parte, ha pensato bene di spazzolarsi anche la nostra quota di torte e vini... Il convincimento è stato ottenuto a CARO PREZZO... (visita outlet a Mantova Sud... ) dopo aver fatto in tempo a vedere, tra i fossi rigonfi di S.Cataldo, planare elegantemente, noncurante del diluvio, un airone bianco.
Consigliato!
[carolingio]
01/11/2010